Il rapporto di Draghi sulla competitività europea ha toccato anche il tema dell’istruzione e le prospettive purtroppo non sono confortanti.
Continua a far parlare e discutere il rapporto Draghi sulla competitività dell’Unione Europea richiesto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Presentato la scorsa settimana per la prima volta, l’ex premier e presidente della BCE ha espresso le sue preoccupazioni rispetto allo sviluppo futuro dell’UE e alla sua sempre più scarsa capacità di competere a livello internazionale risultando troppo indietro rispetto a Paesi che la fanno da padrone come USA e Cina.
Draghi ha poi presentato il rapporto di fronte alla plenaria del Parlamento Europeo, dove ha ribadito la necessita di un nuovo piano Marshall per il rilancio dell’economia, ma ha anche sottolineato come la preoccupazione non debba essere legata ad un’idea di Europa improvvisamente povera e sottomessa, “Abbiamo ancora molti punti di forza in Europa, ma è che col tempo diventeremo inesorabilmente un posto meno prospero, meno equo, meno sicuro, e che di conseguenza, saremo meno liberi di scegliere il nostro destino“. Si spiega sotto questo punto di vista anche l’importanza che assume il tema dell’istruzione all’interno del rapporto Draghi e i dati, purtroppo, non sono dei più confortevoli.
Il sistema istruzione in UE è in declino, poche competenze e pochi fondi stanziati
Stando ai dati del rapporto, l’UE stanzia il 4,7% del PIL al finanziamento dei programmi di istruzione tra scuola e università -dato che scende al 4,2% se facciamo riferimento solo all’Italia- e nel rapporto si esprime preoccupazione per la scarsità di finanziamenti in questo settore, evidenziando come solo l’8% degli studenti in tutta l’Unione riesce a raggiungere un alto livello di competenza in matematica.
Il problema sarebbe soprattutto legato alle discipline STEM; pur producendo figure di alta professionalità in questi settori (cioè scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) la loro disponibilità è estremamente ridotta, si parla di 850 laureati per milione di abitanti -per fare un paragone negli USA salgono già a 1.100-. Un settore che non attrae soprattutto le donne sia a causa degli stereotipi di genere ma soprattutto per il gender pay gap. Fattori questi che si aggiungono alla piaga della fuga dei cervelli, con i laureati che scappano fuori dai confini nazionali ed europei in cerca di condizioni lavorative migliori e più stimolanti.
Tutti questi elementi insieme portano a previsioni non rosee; per il 2035 ci sarà una sempre più alta carenza di professionisti qualificati, il che mette a rischio alcuni degli obiettivi che l’UE si è posta come la transizione verso la decarbonizzazione che richiede l’acquisizione di nuove competenze e la presenza di figure altamente specializzate.
Che fare quindi?
Nel rapporto, Draghi ribadisce la necessità di creare sistemi di istruzione e formazione che siano più reattivi rispetto ai cambiamenti del mercato del lavoro; nel concreto si consiglia di rivedere i programmi di istruzione anche coinvolgendo i datori di lavoro così da adattare la formazione a quello che il mercato cerca.
Sarebbe poi importante anche introdurre un sistema comune di certificazione che permetta di rendere le competenze acquisite più facilmente comprensibili ai datori di lavoro. Fondamentale anche l’aggiornamento continuo delle competenze anche per gli stessi lavoratori oltre che l’attivazione di un programma che permetta di attrarre talenti tecnologici in Europa, un vero cambio di rotta rispetto all’attuale fuga dei cervelli.