Le monarchie nell’età dei nazionalismi

Il numero 16, 4/2013 della rivista Diacronie – Studi di storia contemporanea è interamente dedicato al ruolo delle monarchie nell’affermazione/costruzione delle identità nazionali.

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Dalla nota introduttiva dei curatori, Luca Zuccolo e Marco Abram. “Il monografico numero 16 di Diacronie si propone di analizzare il ruolo delle monarchie nei processi di formazione nazionale. L’utilizzo dei simboli e delle prerogative monarchiche verrà studiato in relazione ai movimenti nazionalisti emersi tra XIX e XX secolo, in particolare nell’area mediterranea, e verrà messo in risalto come le idee monarchiche e la monarchia stessa modifichino e influenzino, sviluppando un peculiare discorso socio-politico, questi movimenti. Come area d’indagine si è prediletta la zona mediterranea – con un excursus anche nell’area extra-europea del Rio de la Plata – intendendo dimostrare come le idee nazionali con le loro molteplici sfaccettature non siano limitate alla sola Europa Occidentale. La scelta degli articoli proposti pertanto si è indirizzata verso realtà “periferiche”, ma non meno importanti per gli sviluppi del discorso nazionale e monarchico tra XIX e XX secolo. I curatori hanno operato queste scelte al fine di proporre un lavoro innovativo rispetto alla già ricca letteratura sul nazionalismo tra cui spicca il volume Monarchia, nazione, nazionalismo in Europa (1830-1914), pubblicato ad inizio 2013 e curato da Catherine Brice e Javier Moreno Luzón.

La scelta dei saggi e la loro strutturazione all’interno del numero non ha seguito un criterio cronologico, ma si è sviluppata attraverso un percorso geografico ideale che dal Marocco all’estremo occidente mediterraneo, risalendo la penisola Iberica, la Francia e l’Italia, si spinge fino all’oriente mediterraneo – rappresentato dall’Impero Ottomano – per toccare, infine, l’area Platense. A livello tematico si è prediletta l’analisi di realtà fino ad ora considerate secondarie e per questo non sempre tenute nella dovuta considerazione negli studi sul nazionalismo. Realtà che tuttavia sono emerse negli ultimi anni con prepotenza nel panorama storiografico internazionale, aprendo nuove vie di indagine relativamente al nazionalismo e ai suoi sviluppi. Sebbene l’imprinting europeo sia evidente anche in casi come quello marocchino o ottomano, rimane decisivo ai nostri fini l’approccio totalmente autoctono attribuito alle dinamiche nazionaliste o patriottiche da queste due realtà.

Le relazioni intercorse tra monarchie e nazionalismo vengono analizzate innanzitutto attraverso la storia del Marocco e della monarchia alawita. I due saggi di Rocío Velasco de Castro e Barbara De Poli studiano il progressivo evolversi della monarchia come simbolo nazionale e come motore della nazione stessa, attorno alla quale in interdipendenza gravitano i movimenti e i partiti nazionalisti. Se il saggio di De Poli indaga lo sviluppo di tale rapporto nel tempo, mettendo in evidenza le tappe e le cesure decisive del processo, il saggio di de Castro si concentra maggiormente sulle permanenze della tradizione pre-coloniale e dei simboli regali nel Marocco moderno emerso dopo l’indipendenza negli anni Cinquanta del Novecento.

Riconoscendo nei pilastri dello Stato – Islam, lingua araba e trono – la base del moderno Marocco, i due articoli descrivono con numerosi dettagli il ruolo centrale che il Sultano/Re ha rivestito in questa dinamica di ri-pensamento delle tradizioni e di costruzione di nuovi rapporti sociali all’interno del Paese.

Il dossier prosegue dedicando una particolare attenzione alle complessità del XIX secolo spagnolo, un caso di studio non sempre al centro dell’attenzione e contraddistinto da un processo di adattamento della Corona al “secolo delle nazioni” decisamente più contraddittorio rispetto a quello conosciuto in altri paesi. Chiariscono con efficacia tali dinamiche Jesús Millán e Maria Cruz Romeo nel loro contributo dedicato ad un’analisi di lungo periodo – tra il 1808 e il 1923 – dei modelli monarchici che si confrontarono e alternarono negli anni dell’affermazione dell’idea di nazione in Spagna. Basato su una ricca e aggiornata bibliografia, il saggio permettere di comprendere le difficoltà che quattro diversi modelli monarchici incontrarono, dopo la fine dell’antico regime, nel rispondere agli ideali nazionali, finendo secondo gli autori per favorire l’opzione repubblicana. Il saggio di Encarna García Monerris e Carmen García Monerris concentra quindi l’attenzione su un aspetto inedito ma particolarmente sintomatico di tale processo di transizione, ovvero la trasformazione del Patrimonio Real (il patrimonio regio) in patrimonio nazionale nel corso del XIX secolo. Sfruttando le fonti giuridiche vengono evidenziate le complessità di una transizione che avrebbe dovuto portare la nazione ad intitolarsi il patrimonio collettivo, garantendo al contempo le funzioni rappresentative nazionali della famiglia reale spagnola.

«L’État c’est moi!»: così Luigi XIV definiva la sua visione di regno e di Stato durante l’Ancien Régime, ponendo le basi per la strutturazione dello Stato moderno in Francia. Questo assunto si dimostro veritiero almeno fino alla Rivoluzione Francese, quando la cesura rivoluzionaria rovesciò le prerogative politiche e sociali transalpine erodendo la base sociale della monarchia. Il campo monarchico, tuttavia, non scomparve del tutto e si ripropose in diverse forme durante tutto il XIX secolo, come testimonia all’inizio del suo saggio Andrea Cavalletto. La Terza Repubblica e soprattutto la sconfitta del Secondo Impero a Sedan, nondimeno, modificarono radicalmente questo quadro facendo scomparire la corrente monarchica dal panorama politico francese. Secondo Cavaletto, però, tale corrente politica non sparì completamente, riproponendosi trasformata nell’esperienza politica dell’Action Française e in modo peculiare nell’esperienza di Maurras, teorico del neo-realismo. Quest’ultimo, sull’onda anti-semita dell’affaire Dreyfus e sulla necessità di ordine dentro e fuori la Francia, propose una nuova immagine della monarchia e del suo simbolismo funzionale non più ad una restaurazione del Re, ma ad una lotta, totalmente repubblicana, contro la Terza Repubblica.

Pur non facendone oggetto di attenzione privilegiata, il numero dedica un certo spazio – nel complesso tre contributi – al caso italiano, cercando di prendere in considerazione prospettive e traiettorie di ricerca inedite rispetto ad un tema che ha conosciuto un certo approfondimento. Jacopo Lorenzini presenta una riflessione sul fondamentale rapporto tra istituzione monarchica, esercito a coscrizione obbligatoria e nazione, soffermandosi sul ruolo di uno degli strumenti privilegiati del nation-building nella codificazione di modelli e canoni culturali volti a legare la comunità nazionale in armi al Sovrano. Oltre a fare riferimento alle riflessioni di alcuni tra gli studiosi che maggiormente si sono occupati del tema, Lorenzini integra il ragionamento sulla base dello studio di particolari fonte primarie: i rapporti degli addetti militari (attachés militaires) francesi redatti in occasione delle parate militari a Roma. I due successivi contributi portano l’attenzione dal centro alle periferie della “patria italiana”: l’una all’interno dei confini dello Stato-nazione – Aosta – l’altra all’esterno – Trieste. Merito degli autori è quello di indagare le tutt’altro che scontate dinamiche di negoziazione culturale e codificazione dell’identità nazionale lontano dai centri principali di rappresentazione della Nazione. Alessandro Celi affronta il caso valdostano, approfondendo in particolare le coordinate semantiche dello spazio pubblico del capoluogo e le connesse narrazioni pubbliche. Viene riscontrata un’inedita relativizzazione del Risorgimento – esperienza controversa per i sudditi valdostani – e la messa in campo di strategie che nel rafforzamento del rapporto tra sovrano e comunità tengono ampiamente conto di tradizioni, storia e cultura locali. L’articolo di Luca Manenti si concentra invece sul ruolo e sull’immagine dei Sovrani d’Italia tra i patrioti attivi nella Trieste asburgica della seconda metà del XIX secolo. Nonostante il ridotto attivismo politico della Dinastia sabauda in tali territori, tra gli esponenti dei gruppi filo-italiani cittadini Manenti rintraccia un consolidato riconoscimento dell’immagine nazionale dei Savoia. Una fiducia che andava al di là dell’effettiva politica di Roma e che fuoriusciva dai circoli irredentisti triestini di orientamento monarchico. I due casi di studio contribuiscono al dibattito storiografico sul tema descrivendo dinamiche piuttosto eterogenee: in un caso suggerendo una relativizzazione del carattere nazionale italiano del legame tra monarchia e popolazione locale; nell’altro sottolineando quanto l’immagine di una dinastia nazionale potesse comunque svolgere un ruolo di riferimento anche per le comunità italofone al di fuori del Regno.

All’analisi del caso italiano segue la parte dedicata all’Impero Ottomano e agli sforzi che il Sultano e leélites ottomane intrapresero per salvare l’Impero dal suo lento disfacimento. I contributi di Federico Donelli e Luca Zuccolo indagano a questo proposito due aspetti decisivi del regno di Abdülhamid II: l’affermarsi di un discorso proto-patriottico e l’Islamismo.

Il saggio di Federico Donelli – proponendo uno studio sull’emergere del movimento pan-islamico ottomano – mette in evidenza le relazioni sia con il revival islamico legato al mondo popolare e sufi sia con l’Ottomanismo liberale delle Tanzimat di cui è prosecuzione. Il Sultano, e soprattutto il suo titolo e ruolo di Califfo dei Credenti, vengono messi in risalto come i nuovi simboli recuperati dalla tradizione islamica in grado di ridare unità ad un Impero sempre più musulmano e turco. In questa strumentale esaltazione del Califfato quale mezzo identitario e di aggregazione sociale attorno alla figura del Sultano quale padre benevolente, Donelli traccia un interessante parallelo tra Sultano e Zar di Russia, confrontandone le similari pratiche di potere.

Complementare a questo contributo, il saggio di Zuccolo analizza, attraverso lo studio della stampa ottomana, l’emergere di un peculiare discorso patriottico incentrato sulla rielaborazione della simbologia imperiale in chiave patriottico-nazionale. Sebbene l’intento di questo saggio non sia quello di creare una teleologica dipendenza tra questa espressione e il successivo nazionalismo turco, l’autore mette in evidenza come all’interno della stampa quotidiana d’opinione si inizino ad intravedere le basi di un discorso patriottico più ampio che vede nel Sultano l’artefice principale della salvezza imperiale. La simbologia connessa alla figura del Sultano, quindi, si impone come fulcro di un discorso proto-patriottico che avvicina l’Impero Ottomano alle dinamiche europee coeve, contribuendo al rinnovamento dell’Impero sia dal punto di vista politico che socio-culturale.

Chiude il numero un contributo che amplia lo sguardo sul mondo d’oltreoceano e dedicato da Fabricio Gabriel Salvatto al Rio de la Plata di primo Ottocento. Il saggio concentra l’attenzione su un’interessante fase di precoce superamento del sistema monarchico, riscontrando la permanenza di dinamiche di antico regime anche nel processo di consolidamento di una comunità “nazionale” priva di riferimenti dinastici. In un contesto particolarmente incerto dal punto di vista delle identificazioni nazionali come la realtà sudamericana, Salvatto prende in esame quello che è stato per molto tempo considerato dalla storiografia argentina il momento di affermazione della Nazione, concentrandosi sull’evolversi della normativa relativa al riconoscimento dei diritti di cittadinanza. Attraverso i vari passaggi istituzionali si evidenzia quanto la struttura delle relazioni tra i singoli e il sistema di potere mantenga talune caratteristiche riconducibili ai precedenti rapporti tra sovrano e sudditi.

Il dossier proposto da Diacronie, ospitando saggi in gran parte dedicati a contesti poco studiati o poco noti in ambito accademico italiano, intende contribuire al dibattito storiografico su monarchie e nazionalismi ampliando il campo di indagine e identificando inedite prospettive analitiche. L’analisi delle funzioni nazionali della monarchia in casi di studio peculiari o di realtà quali l’Impero Ottomano e il Marocco favorisce, infatti, un’indagine storiografica in grado sia di superare i limiti eurocentrici sia di porre in evidenza caratteristiche del discorso nazionalista che non rientrano nei canoni standardizzati del nation-building europeo.

Questo approccio, che deve molto alle teorie della World History e dei Subaltern Studies, non nega l’influenza dei più noti modelli europei, ma vuole mettere in evidenza come tali modelli siano stati modificati dagli attori delle realtà periferiche prese in esame, con il fine di adattarli alle contingenze locali, creando così nuovi ed alternativi modelli teorici. Lo studio ulteriore di questa inedita modellistica, infatti, sta aprendo un nuovo filone storiografico legato al nazionalismo che, superando le barriere teoriche Otto-Novecentesche – come quelle Marxiste e Weberiane o quelle sulla fine dello Stato-Nazione – conduce ad una nuova interpretazione dello sviluppo sociale e statuale delle aree periferiche europee e delle regioni extra-europee.”

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